Cardiff, storia di un crollo annunciato

Prima, durante e dopo.
Storytelling auto-celebrativo e credenze che si auto-avverano.
Attesa prosciugante e dichiarazioni rivelatrici.
Palloni d’oro e ancoraggi di piombo.
Un cocktail micidiale che ha inclinato lentamente la nave bianconera. Fino a farla ribaltare di colpo, nel giro di pochi minuti. Inesorabilmente.

A distanza di poche ore dalla finale di Champions League persa contro il Real Madrid di Cristiano Ronaldo ho rivolto la mia analisi a dettagli apparentemente minori, ma significativi. Elementi e segnali che dimostrano come a Cardiff la squadra di Massimiliano Allegri abbia subìto, prima ancora che fisico-atletico, un pesante e monolitico crollo mentale.
Vediamo come.

  • Quella sporca dozzina
    Dodici giorni di snervante attesa. Dal 21 maggio (gara-scudetto con il Crotone) al 3 giugno (finale di Champions): in mezzo una dozzina di interminabili e vuote giornate. Dove si pensa tanto (troppo) e ci si muove solo per allenarsi, o per giocare una partita senza senso come l’ultima di campionato a Bologna. Non pochi allenatori di vertice vi racconteranno che giocare ogni tre giorni (campionato più coppe) è sì stancante dal punto di vista fisico (le grandi squadre sopperiscono con il turn-over di qualità) ma è molto più efficace sotto l’aspetto mentale. Le tossine di una sconfitta si eliminano in fretta, la mente non fa in tempo a rimuginare che già deve concentrarsi sull’incontro successivo. Se poi, sciaguratamente, in quei dodici giorni decidi di distrarti leggendo i giornali, allora il trappolone è dietro l’angolo!
  • Segnali scricchiolanti
    Giornalisti al seguito della Juve a Cardiff hanno raccontato un episodio relativo all’allenamento della vigilia: nelle prove di tiro, i giocatori bianconeri centravano pochissime volte lo specchio della porta. Segnale di scarsa tranquillità interiore? Può darsi. Ma se a questo aggiungiamo i volti juventini, apparsi tiratissimi, nei primi piani televisivi durante l’inno della Champions, gli indizi aumentano. La fisiologia è rivelatrice di stati d’animo interni. Il linguaggio del corpo raramente tradisce. Pjanic che un minuto prima del fischio d’inizio chiede consigli a Dani Alves come uno scolaretto smarrito, è il sintomo che la vera leadership sta altrove.

Le credenze, zavorre narrative
E qui veniamo ai carichi mentali da novanta.

  • Real Madrid, una squadra abituata a vincere in Europa
  • Cristiano Ronaldo, se è in giornata non c’è partita
  • La Juventus e il tabù delle finali di Champions: su otto ne ha perse sei
  • Per la Juve questo è l’anno buono, parte alla pari, anzi favorita!
  • La Juve funziona meglio sui 180 minuti, le partite secche sui 90’ le soffre
  • Higuain e la maledizione delle finali internazionali: ne ha perse 4 su 4
  • Dybala è maturo? A volte sembra un ragazzino della Primavera
  • Pjanic? Già alla Roma dicevano che non ha la personalità per le gare importanti
  • Buffon e il Pallone d’Oro, ultima spiaggia vista l’età
  • Tutta la difesa della Juve (Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini) è ormai vecchia
  • La Juve è abituata a vincere solo in Italia, dove tutto le riesce facile

Sono fatti basati su dati e statistiche. Ma i fatti non sono tavole della legge immutabili: vanno letti, e soprattutto interpretati. Nello studio della mente – e nel lavoro quotidiano di un mental coach – l’analisi delle credenze occupa un posto di rilievo. La credenza è una sensazione di certezza riguardo a qualcosa. Più persone la sostengono e più siamo naturalmente portati a credere che questa credenza sia vera (secondo il principio di riprova sociale). Proprio perché le credenze ci danno sicurezza, tendiamo a instaurare meccanismi di continua e costante ricerca di conferma a ciò che crediamo. Arrivando in certi casi a cancellare tutte le dimostrazioni contrarie. Se la motivazione non è ai massimi livelli, sfidare le credenze diventa estremamente faticoso.

Al momento di scendere in campo, ogni giocatore juventino aveva nel cervello questo micidiale bagaglio di convinzioni, alcune consce, altre inconsce. Ogni singola etichetta è una sfida da superare, senza contare le decine di indicazioni tattiche da tenere a mente, le variabili da intuire sul momento, le risposte che il proprio corpo ci rimanda nell’istante dello sforzo. Sono professionisti ben pagati. Certo, è vero! Ma in quegli istanti avere molti soldi in banca non è una di quelle idee che ti vengono in soccorso. Sei al centro del mondo, dopo mesi di snervante attesa. E questa è l’unica verità.

  • Primo tempo: crolla l’ipotesi di Allegri
    Lo ha dichiarato a fine gara, rivelando inconsciamente quale fosse il suo pensiero trasmesso alla squadra. Allegri ha detto “pensavamo di andare in vantaggio per poi blindare l’1-0”. Questo spiega di certo perché al primo gol di CR7 la Juve si è trovata in uno scenario sconosciuto, in contrasto con le aspettative. Va detto poi che il pareggio di Mandzukic arriva per un sussulto agonistico più che per un’azione da Juve vera. Sull’uno a uno, quando le gambe ancora correvano e la mente era lucida, la Juve non è riuscita a chiudere la gara. E questo è stato fatale.
  • Intervallo: dove sono Conte e Mourinho?
    Ci sono tecnici che riescono a motivare la squadra e a ribaltare una partita. Spesso riescono a farlo anche nell’intervallo della gara, quando gli atleti sono in piena trance agonistica. In quegli istanti la mente è al massimo dei giri, molto ricettiva ad assorbire messaggi. Conte e Mourinho, a detta di molti calciatori, sanno infondere una carica speciale, toccare corde emotive in grado di risvegliare gli stati d’animo vincenti. Zidane a quanto pare lo ha saputo fare (il succo del discorso di Zizou negli spogliatoi è stato: “Siete arrivati fin qui, lo sapete perché? Siete voi i migliori e dovete vincere!”). Allegri probabilmente no, visti i risultati.
  • Secondo tempo: le folate troppo lunghe
    Al rientro in campo il Real ha cambiato marcia. Zidane ha spostato il baricentro venti metri più avanti, ha ingabbiato Dybala, ha aumentato l’aggressività, la rapidità del gioco, l’intensità di manovra. Ha visto la Juve sulle gambe e ha affondato il colpo. Come dice Buffon: “Le finali equilibrate vivono spesso di folate: dieci minuti da una parte e dieci dall’altra”. Una squadra tiene il pallino per un po’ e poi l’altra lo riprende. Ma se le folate del Real iniziano a durare 20-30 minuti, allora le certezze mentali iniziano a scricchiolare sempre più fragorose. Il secondo gol di Casemiro (in parte fortunoso) è l’episodio che spezza le gambe alla Juve. Il 3-1 di Ronaldo è un uno-due micidiale, il KO definitivo. Le credenze che avevi nello zaino mentale fuoriescono all’improvviso e dilagano nel cervello degli juventini. Tutte insieme, quelle di squadra e quelle di ogni singolo giocatore. Senza energie, ribaltare le credenze è un’impresa impossibile.

Post-gara, le frasi rivelatorie
Ultima chicca. Alcune dichiarazioni confermano l’idea che all’ambiente bianconero manchi ancora un ultimo scatto mentale: quello necessario per arrivare ai vertici europei. Come scrive Sandro Modeo sul Corriere della Sera, Buffon cita “gli episodi” (Non ne va mai giusta una), alludendo anche alle deviazioni che l’hanno messo fuori causa nei primi due gol. Ma altre volte, nel cammino della Champions, gli “episodi” avevano fatto incanalare la partita a favore della Juve.  Evocare “gli episodi” per Cardiff vorrebbe dire ammetterli anche per i turni passati: il che sminuirebbe ingiustamente il lavoro del tecnico e di tutta la squadra.

Infine il presidente Andrea Agnelli che, rilanciando il guanto di sfida alla competizione, ha parlato per il prossimo anno di “maggiore cattiveria”. Ma la cattiveria agonistica non è la soluzione. La squadra, per l’ultimo step, dovrebbe accentuare invece il carattere “europeo” su più fronti: in senso tattico, in sicurezza, nel dominio del gioco.
In una parola: leadershipmentalitàidentità vincente.

E questo il Real Madrid ce l’aveva.
Ce l’ha.

 

 

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